È difficile pensare, in veste di italiani, che la nostra cultura possieda un forte potere distintivo e di attrazione per quanto riguarda la sua cucina e le sue ricette. Tuttavia è proprio così, e il saggio di Davide Girardelli cerca di spiegare gli elementi alla base della costruzione di questa etnicità, o meglio italianità, nel panorama statunitense. Allo stesso tempo l’autore mostra come questa italianità sia un presupposto più che vantaggioso su cui speculare economicamente, attraverso specifiche strategie di marketing, e come questa speculazione, a sua volta, metta in discussione il fatto che l’esportazione della tradizione gastronomica nostrana sia effettivamente autentica o sia semplicemente un mito. Un mito di cui il mercato della cucina Italiana all’estero si serve per realizzare i propri interessi (8,5 miliardi di dollari nel 1994), rendendo sempre più vulnerabili i consumatori di fronte alle loro scelte.
C’è da dire che, oggigiorno, il nostro agire quotidiano è ormai largamente inscrivibile nel ruolo sociale del consumatore. Attraverso la pressione dei mezzi di comunicazione di massa i modelli culturali del consumo plasmano i nostri sogni e bisogni e ci offrono modelli di identificazione che ispirano la nostra stessa autopercezione. A questo proposito Girardelli accosta la sua ricerca alle teorie di Featherstone (docente di Sociologia presso la Nottingham Trent University ed esperto in globalizzazione e cultura del consumo dell’era postmoderna) e di Baudrillard (filosofo e sociologo francese di formazione tedesca la cui filosofia è fondata sulla critica del pensiero scientifico tradizionale e sul concetto di virtualità del mondo apparente). Mike Featherstone sostiene che in una società di consumo ciò che viene consumato non è solo il cibo in sé ma anche il simbolo che gli appartiene, come ad esempio il consumo stesso delle immagini e delle fantasie evocate dalla pubblicità o dalle confezioni degli alimenti. Infatti in questo tipo di società...