Pensare la politica sotto il segno della divisione: l’itinerario eretico di Jacques Rancière.
“Non sono filosofa, non appartengo alla cerchia dei filosofi. Il mio mestiere, se posso esprimermi in senso generale, è la teoria politica... vede, la differenza tra la filosofia politica e la teoria politica, riguarda la cosa stessa... quando affronto questi problemi, mi preoccupo sempre di ricordare la tensione che esiste tra filosofia e politica, ovvero tra l’uomo in quanto filosofo e l’uomo in quanto essere che agisce; una simile tensione non esiste nella filosofia della natura: il filosofo osserva la natura come tutti gli altri uomini, e quando riflette su di essa, prende la parola in nome dell’umanità intera. Ma, di fronte alla politica, il suo sguardo non è neutrale: a partire da Platone, tutto ciò non è più possibile... la maggior parte dei filosofi, tranne rare eccezioni, percepisce una sorta di ostilità nei confronti della politica. Un’ostilità cruciale, perchè non si tratta di una questione personale: è nell’essenza della cosa stessa, cioè nella questione politica in quanto tale, che risiede l’ostilità... ma io non voglio in alcun modo partecipare a questa ostilità. Voglio guardare la politica con occhi sgombri da ogni filosofia
(Arendt 1993)
L’ostinato rifiuto arendtiano di definirsi filosofa rappresenta un punto di partenza interessante, nella presentazione di quella che quasi certamente è l’opera fondamentale di Jacques Rancière, filosofo e professore emerito, allievo di Althusser, voce tuttora presente, sguardo vivace e talvolta disarmante del panorama filosofico occidentale contemporaneo. A partire da Le philosophe et ses pauvres (1983), Rancière non ha mai smesso di indagare sia il rapporto tra filosofia e politica – più esattamente, la “compulsione” della prima nel “voler far cessare lo scandalo” rappresentato ai suoi occhi dalla seconda -, sia i momenti in cui la politica diventa processo egualitario e...